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Giovanna Coltelli, storica dell'Arte.

 

Esprimersi […] con la perfetta rettitudine e naturalezza dei movimenti degli animali e l'incontrovertibile purezza di sentimento degli alberi nei boschi e dell'erba lungo i sentieri è un'affermazione di Walt Whitman (1)  che si ritaglia perfettamente alla severità con cui Marco Campanella affronta il suo lavoro.
Si arrovella alla ricerca della perfezione, quella che la natura ossequia con una semplicità disarmante e che noi, al contrario, abbiamo perduto. L’arte è forse l’unica speranza che abbiamo per un riavvicinamento, una congiunzione tra l’uomo-tecnico impiegato su se stesso e l’uomo-umano. Con le sue sculture Marco si offre come pontiere, artefice di un passaggio da una disarmonia devastante ad una rinnovataconsapevolezza. Per questo motivo le sue opere non possono non essere sincere, pena l’assimilazione al caos che vuole distruggere. Il rinnovamento di Campanella fa i conti con questo mondo in cui è la finalità cosciente che ci ha portati in cima al dirupo: l’armonia è giusta solo se funzionale, la natura è utile, il mondo è il nostro mondo, e l’arte è un sistema chiuso adeguato al mercato.
L'arte scultorea ha invece questo di rivoluzionario: restituisce al tempo la sua dignità, gli riconosce i suoi tempi non riducendolo a intruso tra i nostri desideri e il loro compimento. Marco mostra che è possibile pensare diversamente la propria esistenza, non pretende di "cambiare il mondo", ma aspira a rimuovere in ciascuno di noi quei pregiudizi percettivi che ci inducono a vedere le cose con un unico sguardo omologato, parlando il linguaggio universale dell'arte in cui si realizza la vera integrazione tra coscienza e inconscio.
Il risveglio di Campanella non è dunque un ritorno, non ci chiede di recuperare quella dimensione del buon selvaggio di rousseauniana memoria fatta d'una sorta di naturale innocenza ormai perduta. Il suo è innanzitutto un richiamo alle ragioni del cuore, a quella connessione sentimentale che Antonio Gramsci intravide tra intellettuali e popolo e che il nostro scultore scorge in tutti gli esseri viventi; siamo di fronte a una struttura relazionale in grado di tesaurizzare le esperienze passate e di imparare dai propri errori.
E’ il titolo stesso a ricordarcelo: "Crisi e Rinascita" è giustappunto l'espressione di un processo che pone in evidenza i due estremi della relazione: tra io-e-te c'è un mondo fatto di reciproca interdipendenza, un mondo che si costruisce quotidianamente e che interloquisce con gli altri mondi. Tra Crisi e Rinascita c'è il mondo, questo mondo che abitiamo e devastiamo nella nostra ordinaria indifferenza. Sfruttiamo il mondo come se non ne facessimo parte.
Se tutto questo è vero, il lavoro da compiere è particolarmente complesso, il Glauco marino irriconoscibile per le incrostazioni stratificate deve scuotersi al punto da rischiare di farsi male.
E’ dunque un'invisibile demolizione che accompagna le opere di Campanella, una decostruzione immersa nel silenzio ma non meno determinata di una motosega nella foresta amazzonica.
Le sue sculture si insinuano nel sistema dell’arte come sabbia negli ingranaggi di un meccanismo chiuso e autocelebrativo; granelli che irritano perché sollecitano all’umiltà.

Così va letto anche il richiamo alla Rinascita di Marco Campanella, rinascita che è anche scoperta. Forse sarebbe meglio dire avanscoperta. La poesia delle opere di Campanella si gioca qui, nella continua esplorazione dell’umano, del suo percepire, del sacro che è in ciascuno di noi, un continuo viaggio senza fine, non solo come sguardo infinito ma inteso come privo di uno scopo che non sia il viaggio stesso in compagnia col mondo intero.
Marco sa quanto vale un’Itaca ma le sue urla non attecchirebbero in un mondo di selfie; allora lo deve scolpire, incidere, intagliare, deve far proprio il suo grido interiore e mostrarlo nella sua metaforica nudità.
Dobbiamo ritrovare (risvegliare) quel pathos da cui ci siamo allontanati e che abbiamo quasi dimenticato, far riemergere quell'arborea vita vivente descritta da D'annunzio, quella danza di parti interagenti come il vento sui monti che investe le querce (2) che caratterizza le creature.
Questo richiede tempo, esperienza, rispetto; richiede un’intensa cura delle relazioni che
intercorrono tra i viventi, occorre soprattutto serietà.
"I sistemi puniscono ogni specie che sia tanto stolta da non andare d'accordo con la propria ecologia" (3). Marco Campanella sembra abbracciare in pieno questa sentenza e le sue sculture ci parlano costantemente proprio della nostra hybris nei confronti della natura. I tempi sono maturi, dobbiamo smetterla: Dio non lo si può beffare (4).
E’ senza dubbio un percorso a ostacoli che non conosce soste né pause ma anzi pretende
dedizione, sacrificio e una smisurata (e invidiabile) fiducia nell'umanità.
Per quanto sforzo si possa fare per chiarire i vari punti della nostra situazione, per esporre con tutta la prosa cristallina di cui siamo capaci quello che ci sta capitando, è solo attraverso l'arte che è possibile parlare direttamente alle coscienze, è solo con il suo aiuto che possiamo attraversare ogni barriera culturale e inoltrarci nel territorio inesplorato del sacro.
Sacro che nulla ha a che vedere col religioso, con i suoi rituali, ma in quanto insopportabilmente irraggiungibile nonostante sia lì, alla nostra portata. Sacro in quanto percepibile da chiunque di noi ma sempre più nascosto e tabuizzato.
Il tentativo di Campanella è di destare l'attenzione, di non continuare a non mostrarsi: è paradossale, se pensiamo a quanto gran parte dell'umanità metta se stessa in vetrina, con fari puntati e sottotitoli. Ma quello non è mostrarsi, è nascondersi: l'artista prova a disattivare l'eremitismo internauta che segrega ciascuno di noi nella sua personale stanza dei bottoni attraverso un risveglio corale. Questa mostra è il tentativo di disturbare, di rompere le scatole a chi non vorrebbe mai scoperchiarle, è il modo per richiamarci alla riflessione, allo sguardo dialettico, alla relazione come campo di possibilità.
Dobbiamo restituire dignità al territorio, luogo d'incontro di mappe che non sanno più come orientarsi; è necessario prendersi cura del selciato che scegliamo di tracciare ad ogni passo che percorriamo, abbiamo il dovere di guardarci intorno con occhi vigili e consapevoli. "Risvegli" è guarire dal torpore della consuetudine di un pensiero che nega se stesso in quanto mutuato e autoperpetrante, balbettii sopiti dall'accessibilità disarmante della maggioranza, che ha sempre ragione.
I molteplici sguardi che attraversano la mostra rimandano ciascuno all'altro in un continuo reciproco riflettersi per ritrovarsi: un infinito abbraccio che vuole percorrere il mondo intero   per ritornare al punto di partenza e riconoscerlo  per la prima volta.
Non dunque la soluzione ma l'apertura di un problema gigantesco che, attraverso il gioco degli specchi invisibili, trasformi il bisbiglio di ognuno in un unico immenso grido che penetri l'anima.
Parafrasando l’antenato di Marco, Tommaso  Campanella, potremmo dire che l’artista tiene uniti il sensus additus e il sensus abitus in un’unica struttura connettiva che pone sullo stesso piano tutti gli esseri senzienti, ciascuno con quel soffio divino che la vita gli ha donato.
Campanella, quello di oggi, non anela ad una città del sole ma con il sole; la sua rinascita è anche un risveglio.

 

 

1 Walt Whitman, Foglie d'erba, Prefazione alla prima edizione del 1855, Edizione integrale, Einaudi, 2016, pag. 696
2  Saffo, in Lirici greci, Garzanti, 1989, pag. 131

3  Gregory Bateson, Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976, pag. 449
4 La Sacra Bibbia, Galati 6:7

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